Antonio Ciccia Messina - Professore a contratto di Tutela della privacy e trattamento dei dati digitali Università della Valle d’Aosta
Un emendamento alla legge di conversione del decreto Ucraina introduce l’obbligo per le imprese di possedere l’attestazione della qualificazione per categorie di lavori e per classi di
importo, finora operante solo nel settore degli appalti pubblici (SOA). Imprese e committenti interessati ad avvalersi dei benefici fiscali sui lavori edilizi di importo superiori a 516.000 euro
devono fare i conti con una disciplina che distingue tre periodi: fino al 31 dicembre 2022 non ci saranno cambiamenti; dal 1° gennaio 2023 al 30 giugno 2023 basterà la richiesta della domanda di
certificazione SOA; dal 1° luglio 2023 scatterà l'obbligo del possesso della certificazione. Che impatto avrà tale norma sui costi per le imprese e quali sono i suoi problemi di
legittimità?
Le attestazioni SOA richieste per i lavori di importo sopra i 516 mila euro, inseriti nel bonus edilizia 110%, sono un vero e proprio
“pasticciaccio” giuridico. Un emendamento, approvato dalle commissioni del Senato, che sta esaminando il disegno di legge di conversione (atto senato n. 2564) del D.L. n. 21/2022, generalizza al
settore privato l’obbligo di possedere l’attestazione della qualificazione per categorie di lavori e per classi di importo, finora operante solo nel settore
degli appalti pubblici.
La disposizione viene varata, tuttavia, in quadro di molteplici e fondati dubbi di legittimità costituzionale, comportando lo snaturamento della finalità di controllo della professionalità
dell’operatore, che viene sviata e diventa un improprio requisito necessario per far consolidare un beneficio fiscale in capo al committente: tutto ciò al prezzo di restringere
l’accesso delle imprese edilizie al mercato di riferimento, di mettere nell’incertezza i contribuenti e in forse i bonus, oltre che di privatizzare di fatto la
regolamentazione del settore, provocando, su base stabile, un aumento dei costi generali per le imprese e, quindi, per i committenti.
L’alternativa sarebbe un efficiente sistema di verifiche curato dalle autorità amministrative, ma pare che anche in questo comparto ci si debba rassegnare all’impraticabilità della funzione
pubblica di controllo.
Sta di fatto, comunque, che imprese e committenti interessati ad avvalersi dei benefici fiscali sui lavori edilizi devono fare i conti con una disciplina che
distingue tre periodi:
- fino al 31 dicembre 2022 non ci sarà alcun cambiamento;
- dal 1° gennaio 2023 al 30 giugno 2023 basterà la richiesta della domanda di certificazione SOA;
- dal 1° luglio 2023 scatterà l'obbligo del possesso della certificazione.
Ma vediamo il dettaglio della manovra.
Prima ipotesi: primo semestre 2023
Ai fini del riconoscimento dei previsti incentivi fiscali, a decorrere dal 1° gennaio 2023 e fino al 30 giugno 2023, l'esecuzione dei lavori di importo superiore a 516.000 euro,
relativi agli interventi previsti dall’art. 119 ovvero dall'art. 121, c. 2, D.L. n. 34/2020, deve essere affidata:
- ad imprese in possesso, al momento della sottoscrizione del contratto di appalto oppure, in caso di imprese subappaltatrici, del contratto di
subappalto, della occorrente qualificazione ai (art. 84, Codice dei contratti pubblici, D.Lgs. n. 50/2016);
- ad imprese che, al momento della sottoscrizione del contratto di appalto oppure, in caso di imprese subappaltatrici, del contratto di subappalto, documentano
al committente oppure all'impresa subappaltante l'avvenuta sottoscrizione di un contratto finalizzato al rilascio dell'attestazione di qualificazione.
In relazione a questa seconda ipotesi, la detrazione relativa alle spese sostenute a far data dal 1° luglio 2023 è condizionata all'avvenuto rilascio dell'attestazione di
qualificazione all'impresa esecutrice.
Seconda ipotesi: dall’inizio del secondo semestre 2023
A decorrere dal 1° luglio 2023, sempre ai fini del riconoscimento degli incentivi fiscali, l'esecuzione dei lavori di importo superiore a 516.000 euro, deve essere
affidata esclusivamente ad imprese in possesso, al momento della sottoscrizione del contratto di appalto oppure, in caso di imprese
subappaltatrici, del contratto di subappalto, della qualificazione SOA.
Terza ipotesi: fino al 31 dicembre 2022
Non ci vuole nessuna attestazione per i lavori in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della legge di
conversione del D.L. n. 21/2022 ed anche ai contratti di appalto o di subappalto aventi data certa, ai sensi dell'art. 2704 del Codice civile, anteriore alla data di
entrata di entrata in vigore della disposizione.
Problemi di legittimità della norma
La norma contrasta con il principio costituzionalità di libertà di impresa, poiché impedisce ingiustificatamente l’accesso al mercato, lasciando fuori operatori validi e qualificati, che non
dispongono della attestazione.
Il riconoscimento dell’attestazione non aggiunge e non toglie nulla alla qualificazione, che deve essere posseduta a monte e, pertanto, la subordinazione dell’attività di impresa
a un regime di fatto autorizzativo è in contrasto con l’art. 41 della Costituzione e con i principi della legislazione europea in materia di concorrenza.
La norma contrasta anche con il principio di uguaglianza, se si pone mente al fatto che tratta in maniera deteriore, senza ragionevolezza, il contribuente che si rivolge a
un’impresa qualificata, ma priva di attestazione, rispetto al contribuente che si affida a un’impresa qualificata con attestazione.
Inoltre, i profili di illegittimità si moltiplicano se si pone mente all’ipotesi dell’impresa che abbia sottoscritto un contratto per conseguire l’attestazione (una delle
condizioni efficaci a partire dal 1° gennaio 2023) e che poi, per una qualunque ragione, non la consegua: ciò fa perdere le agevolazioni fiscali al contribuente
incolpevole, inerme e privo di possibilità di rimediare a tale carenza.
L’irragionevolezza della norma è evidenziata da un altro profilo: l’emendamento stesso dichiara che la qualificazione è richiesta “ai fini del riconoscimento delle agevolazioni fiscali” e,
quindi, per un interesse pubblico tributario, certo commendevole, ma che nulla c’entra con la qualità dei lavori. L’attestazione della qualifica dell’operatore economico diventa
uno strumento indiretto e incongruo di verifica fiscale.
Quanto sopra è comprovato dalla stessa disposizione che programma l’efficacia graduale della stessa a partire da una certa data futura (dal 1° gennaio 2023), con ciò testimoniando
inequivocabilmente che la ratio della norma non è assicurare la qualità dei lavori (come desumibile dall’obbligo del possesso dell’attestazione della qualificazione), perché altrimenti varrebbe
anche per i lavori in corso (sottoposti eventualmente anch’essi a un regime transitorio per consentire l’acquisizione della attestazione).
La realtà è che il legislatore opera uno sviamento delle finalità e pretende di usare ai fini di controllo fiscale un istituto posto a garanzia della
qualità dei lavori, scommettendo sul fatto che restringere il mercato significa riservare lo stesso sperabilmente ad operatori economici onesti, che non pongono in essere
macchinazioni illecite per ottenere vantaggi illeciti.
Peraltro, non vi è nessuna garanzia che questo percorso possa realizzarsi, potendo la strategia dell’elusione contare su parecchi prevedibili stratagemmi, come la simulazione dell’importo dei
lavori o il frazionamento degli stessi in tanti incarichi, ciascuno sottosoglia. Senza escludere una corsa alla stipulazione dei contratti nel periodo che andrà fino alla data di pubblicazione in
Gazzetta Ufficiale della legge di conversione del D.L. n. 21/2022.
Da ultimo non si può mancare di rilevare che la norma comporta un incremento dei costi delle imprese per il conseguimento e il
mantenimento delle qualificazioni, il cui livello minimo (una categoria in prima classifica) si aggira intorno ai 6 mila euro.
Non a caso, l'emendamento ha provocato le critiche delle associazioni delle piccole e medie imprese, le quali hanno stimato che rispetto al nuovo adempimento risulteranno inadempienti circa l'80%
delle imprese coinvolte.
Resta da chiedersi se non ci siano alternative a questo farraginoso meccanismo, senza nulla togliere al mercato delle qualificazioni, le quali ben avrebbero potuto essere chiamate a giocare un
ruolo premiale e non certo un ruolo di selezionatori degli operatori economici (un conto è “qualificare” altro è selezionare per escludere).
Le alternative, sulla carta possibili, evocano, però, l’efficienza di controlli da parte dell’amministrazione che elargisce benefici, ma che, in concreto, evidentemente, non può sostenere i
costi organizzativi ed economici di un effettivo sistema pubblico di verifiche tempestive ed esaustive.
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