Obbligo vaccinale over 50 e super green pass sul lavoro: quali controlli dal 15 febbraio

Pasquale Staropoli - Avvocato e Consulente del lavoro

 

Dal 15 febbraio 2022, gli ultracinquantenni per accedere ai luoghi di lavoro dovranno avere il green pass rafforzato, che si ottiene soltanto con la vaccinazione o con il certificato di guarigione dal contagio da Covid-19. La verifica da parte del datore di lavoro dovrà essere più incisiva di quanto non stia accadendo a legislazione vigente. Il controllo del green pass non potrà limitarsi alla verifica della sua validità, per i lavoratori over 50 occorrerà constatare che il suo rilascio è avvenuto in conseguenza della vaccinazione o della guarigione. I lavoratori privi della certificazione verde rinforzata sono considerati assenti ingiustificati, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. In caso di esenzione il lavoratore potrà essere adibito a mansioni diverse

 

 

Il D.L. n. 1/2022, recante “Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza COVID-19, in particolare nei luoghi di lavoro, nelle scuole e negli istituti della formazione superiore”, ha introdotto, per la prima volta dall’emergenza pandemica, un obbligo vaccinale indistinto e diffuso, per tutti gli ultra cinquantenni, a prescindere dal loro eventuale impiego o appartenenza a categoria professionale.
Da tale imposizione ricadono conseguenze per la gestione della presenza sui luoghi di lavoro, considerato che per i soggetti al nuovo obbligo, l’accesso è altrimenti vietato.

Obbligo vaccinale

 

Non abbiamo conosciuto, pur nell’incombenza del fenomeno pandemico, obblighi vaccinali diffusi per contrastare la diffusione del contagio da Covid-19. Questi sono stati introdotti sempre e soltanto per determinate categorie di lavoratori (operatori sanitari con il decreto Aprile, personale scolastico, appartenenti alle forze dell’ordine, soccorso pubblico, con il D.L. n. 172/2021 (convertito in l. n. 3/2022), per i quali la vaccinazione è “requisito essenziale per lo svolgimento delle attività lavorative”), obblighi giustificati dalla necessità di preservare innanzi tutto l’utenza con la quale venivano a contatto, assegnando così prevalenza alla necessità della tutela della salute pubblica sul diritto alla libertà di (non) sottoporsi ad un trattamento sanitario, alla luce dell’art. 32 Cost.
Il quadro muta per effetto delle previsioni del D.L. n. 1/22. Questo, all’art. 1, introduce l’art. 4-quater del D.L. n. 44/21, convertito con modificazioni dalla l. n. 76/2021, ed estende l’obbligo di vaccinazione ai cittadini italiani e di altri Stati membri dell'Unione europea residenti nel territorio dello Stato, nonché ai cittadini stranieri residenti nel territorio nazionale, che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età.
La soggezione all’obbligo descritto, introdotto “al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza”, è entrata in vigore l’8 gennaio, e varrà fino al 15 giugno 2022. L’obbligo di vaccinazione si applica anche a coloro che compiranno il cinquantesimo anno di età durante tale finestra applicativa.

Le conseguenze per i luoghi di lavoro

 

Il D.L. n. 1/22, fissato il predetto obbligo, con l’art. 4-quinquies, anche questo introdotto dall’art. 1 per integrare il decreto Aprile, estende di conseguenza l’impiego del green pass rafforzato sui luoghi di lavoro. Pertanto, a far data dal 15 febbraio 2022, senza certificato di vaccinazione o guarigione, ai soggetti all’obbligo vaccinale, ergo, tutti gli ultracinquantenni, è vietato l’accesso ai luoghi di lavoro. Questi “devono possedere e sono tenuti a esibire” la certificazione in discorso. Quest’ultima espressione utilizzata dal legislatore, sdogana definitivamente la legittimità di controlli diffusi, ed anche reiterati, del possesso del green pass, che può non avvenire esclusivamente al momento dell’accesso al luogo di lavoro.
La novità del contenuto, restrittivo, della certificazione per l’accesso ai luoghi di lavoro, induce alcune riflessioni, necessarie anche alla luce della formulazione delle previsioni contenute dall’art. 1 del D.L. n. 1/22.
Il green pass è necessario per l’accesso ai luoghi di lavoro dal 15 ottobre. Pur evidentemente introdotta per promuovere indirettamente il ricorso alla vaccinazione, la misura non ne costituiva un obbligo sostanziale, considerato che la certificazione verde è utilmente ottenibile anche con l’effettuazione del tampone, nei limiti evidentemente della durata oraria stabilita dalla legge per la sua validità.
La necessità che dal 15 febbraio 2022, e fino al 15 giugno 2022, per accedere ai luoghi di lavoro, i lavoratori ultracinquantenni dovranno avere il green pass rafforzato, che si ottiene soltanto con la vaccinazione o con il certificato di guarigione dal contagio da Covid-19, impone un nuovo atteggiamento da parte dei datori di lavoro, tenuti a verificare il rispetto dell’introducendo obbligo nei rispettivi luoghi di lavoro. È evidente che al fine della garanzia dell’effettività dell’applicazione delle tutele previste, la verifica da parte del datore di lavoro dovrà essere più incisiva di quanto non stia accadendo a legislazione vigente. Il controllo del green pass non potrà limitarsi alla verifica della sua validità, ma per i lavoratori ultra cinquantenni dovrà constatare che il suo rilascio è avvenuto in conseguenza della vaccinazione o della guarigione.
Ciò risolve alla radice i problemi, insorti con l’introduzione del green pass semplice per l’accesso ai luoghi di lavoro, che aveva visto l’ostracismo da parte dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali, che negava la possibilità di utilizzare pratiche pragmatiche, come la annotazione della scadenza o la conservazione della certificazione.
Possibilità queste ultime tutte poi ammesse dalle modifiche introdotte dal legislatore. Nello specifico della norma in discorso, il problema non si pone, perché proprio la verifica della tipologia della certificazione verde, richiede che il datore di lavoro appuri se il proprio dipendente over 50 sia vaccinato o guarito, al fine di far rispettare, altrimenti, il divieto di accesso al luogo di lavoro.

Le conseguenze dell’assenza della certificazione

 

Come previsto dal quarto comma dell’art. 4-quinquies, i lavoratori privi del green pass rafforzato, o dei quali tale mancanza venga accertata al momento della verifica all’ingresso, al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei luoghi di lavoro, sono considerati assenti ingiustificati, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro, fino alla presentazione della predetta certificazione, e comunque non oltre il 15 giugno 2022.
Per i giorni di assenza ingiustificata di cui al primo periodo, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati. È sostanzialmente replicato il sistema già vigente, che non addebita al lavoratore l’omesso possesso del green pass (qui rinforzato), laddove in buona fede lo dichiari, o il mancato possesso sia accertato al momento dell’accesso.
È da rilevare però, che nel caso specifico, a rigore, per i lavoratori ultracinquantenni, l’impossibilità della prestazione lavorativa, conseguente alla impossibilità di accedere al luogo di lavoro per la mancanza del green pass rafforzato, non è più - dal 15 febbraio - mera espressione dell’esercizio di una propria libertà, bensì esplicita violazione di una norma di legge, che impone loro l’obbligo di vaccinazione. Tuttavia, è improbabile poter ritenere la legittimità del potere in capo al datore di lavoro di irrogare sanzioni disciplinari, proprio perché le conseguenze di tale comportamento sono espressamente e compiutamente previste dalla norma.
Identico è inoltre l’apparato sanzionatorio, che evidentemente si applica a chiunque venga accertato sul luogo di lavoro privo del green pass rafforzato (chiunque obbligato per effetto dell’anagrafe, per quanto in discorso), considerata l’inequivocabile espressione del quinto comma, per cui “è vietato l’accesso dei lavoratori di cui al comma 1 ai luoghi di lavoro in violazione dell’obbligo di cui al predetto comma 1”. Tale divieto, infatti, pur evidenziando l’onere di controllo in capo al datore di lavoro, incombe evidentemente anche sui destinatari dell’obbligo, che devono osservarlo, non accedendo ai luoghi di lavoro in assenza del requisito sanitario che la legge richiede.

L’esenzione

 

Sono sottratti all’obbligo in esame coloro nei cui confronti sia accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale dell'assistito o dal medico vaccinatore, nel rispetto delle circolari del Ministero della salute in materia di esenzione dalla vaccinazione anti SARS-CoV-2; in tali casi la vaccinazione può essere omessa o differita. Il differimento della vaccinazione, fino alla prima data utile prevista sulla base delle circolari del Ministero della salute, è inoltre consentito in caso di infezione da SARS-CoV-2.
In questi casi, stando alla lettera del comma 7 dell’art. 4-quinquies, per il periodo in cui la vaccinazione è omessa o differita, il datore di lavoro adibisce i soggetti interessati, a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio.
Prescindendo dalla infelice coniugazione del verbo adottata, l’obbligo in capo al datore di lavoro, così imposto, non può intendersi in senso imperativo, e perciò privo di alternative. Infatti, la prescrizione deve intendersi in concreto nella necessità di prevedere tale diversa collocazione laddove questa sia effettivamente possibile, compatibile con le esigenze organizzative aziendali e la possibilità di individuare modalità operative della prestazione lavorativa che ne consentano l’utile apprezzabilità da parte del datore di lavoro.
In caso contrario, intonso il diritto alla conservazione del posto di lavoro, è ben difficile immaginare un obbligo, in capo al datore di lavoro, di provvedere in danno della organizzazione e della economicità della gestione aziendale.

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